Il COE in Guatemala
Alma de Colores, così si chiama il Nostro progetto. La N maiuscola è dovuta al numero incredibile di anime e di mani che ci hanno lavorato fino ad oggi, in Italia come in Guatemala.
La partenza dall’Italia è stata preceduta da un gran travaglio, ed in tempi di “crisi” come quello che sta passando il vecchio continente, sembra incredibile che tanta gente abbia voluto credere in questo progetto.
Allora che abbiamo fatto? Provo a raccontarlo.
L’arrivo non è stato facile, ad ottobre si è abbattuto su Guatemala una tremenda precipitazione, che ha interrotto ogni via di comunicazione per ben due settimane.
Passata l’emergenza acqua, abbiamo però iniziato a lavorare.
In poco tempo ci siamo resi conto che la stanza che Centro Maya ci offriva per l’apertura del laboratorio di artigianato non era assolutamente adeguata. Si trattava di trovare un altro spazio, e così abbiamo deciso di invertire il capitale previsto per l’apertura della lavanderia nella ristrutturazione di una stanza dell’edificio che Centro Maya aveva appena acquistato.
Così sono state vacanza di Natale dure (ogni giorno a lavorare per sistemare in fretta la stanza), però piene di senso, con noi i ragazzi che ora frequentano il laboratorio e che sono 11.
Da poco abbiamo iniziato a lavorare anche di pomeriggio, pranzando al centro.
L’inevitabile diffidenza che i genitori avevano nei nostri confronti inizialmente, si sta piano piano sciogliendo e per lascire spazio alla fiducia e allo spirito di collaborazione.
“Lentamente lentamente”, sembra essere la parola d’ordine. I ragazzi arrivano in ritardo, ed i ritmi di produzione sono incredibilmente lontani dalla normalità. Per ogni ragazzo è necessario immaginare che tipo di prodotto possa lavorare, cercando di mantener fede a quanto scritto sul progetto iniziale.
In particolare cerco di lavorare bigiotteria (su questo siamo concentrati ora) utilizzando materiale di riciclo e semi (fagioli e caffè). Non è difficile comporre bei monili…però Israel non sa contare, Fabiola usa solo la mano sinistra, Lucas non riconosce i colori, Lencho non sa infilare l’ago, Billy non sta seduto per più di 5 minuti. Ma d’altra parte, come ho detto all’ultima riunione coi genitori “se non avessero esigenze speciali, avrebbero già trovato un lavoro fuori dal centro, e non ci sarebbe bisogno del progetto”.
Molti dei ragazzi che vengono al taller escono da anni di segregazione o di strada, e molto del lavoro consiste nel recuperare, o a volte apprendere le abilità della vita quotidiana (lavarsi, cambiarsi gli abiti quando sono sporchi, lavarsi le mani prima di mangiare).
La crisi economica si è abbattuta con particolare ferocia nei PVS (so di non scrivere nulla di nuovo), ma non ci si riesce a rassegnare a questo fatto, quando il proprio quotidiano è fatto di tanta povertà.
Scrivevo nell’ultima mail a chi dall’Italia ci sta sostenendo economicamente, che qui, nel bacino del lago, hanno chiuso diversi progetti sanitari, con la conseguenza, inevitabile di un forte incremento delle morti, soprattutto in età evolutiva.
Da quando siamo qui sono già venuti a trovarci Viola Pezzana e Alberto Gallo, i quali hanno dato il loro contributo alle attività del centro, e presto arriverà Viola Mini.
In particolare Viola Pezzana ha permesso, con la sua presenza, di mantenere vivo il progetto di intercambio tra lavoratori italiani e lavoratori di Centro Maya, attivo ormai dal 2010. Speriamo di poterlo realizzare anche nel 2012.
Si stanno pian piano aprendo possibilità con la comunità locale, tra cui, quella più concreta è con LEMA’, cooperativa di donne tessitrici, che tingono utilizzando tinte naturali, che si sono rese disponibili ad insegnare ai ragazzi che frequentano il laboratorio del Coe lavori di finissaggio, con l’idea poi di commissionarli loro.
Il non finanziamento del progetto da parte del Mae getta una grande ombra di incertezza sul futuro del progetto. Nonostante la generosità dei tanti sostenitori italiani, ogni giorno è difficile mantenere le spese nei limiti necessariamente imposti. Non si riesce neppure a prendere in considerazione l’ipotesi di servire le frazioni isolate di San Juan, dove appena una volta a settimana vanno psicologa, logopedista e fisioterapista di Centro Maya.
Proprio perché isolate e lontane (circa due ore di cammino, o un’ora con i mezzi pubblici), sono le persone che vivono lì, ad essere le più bisognose del progetto di inserimento lavorativo, ed in generale, delle attenzioni che Centro Maya offre ai suoi pazienti.
Però tant’è, come si dice qui “bisogna lottare per cambiare, ma bisogna accettare ciò che non si può cambiare”. E così facciamo, mettendo ogni giorno la nostra goccia nel mare.
Ultime due righe dedicate alla nostra vita famigliare: bella e complicata. I bambini sono felici, vanno a scuola volentieri, ma hanno molta nostalgia dell’Italia. Giulio disegna bandiere tricolore ovunque, ed Elia scrive spesso ai suoi compagni.
Noi ci siamo abituati, piano piano, ai ritmi ed allo stile di vita, così diversi da quelli in cui abbiamo vissuto la nostra genitorialità negli ultimi 10 anni. Siamo molto contenti di essere qui e fiduciosi che le cose andranno bene.